Nel borgo medievale di Oneta, in una casa di solida pietra vi era un'affresco (attualmente sostituito da una copia) che raffigurava un uomo irsuto e vestito di pelli che, brandendo un randello nodoso, faceva buona guardia dell'abitazione, come si deduce dalla scritta posta sul cartiglio: Chi non è de chortesia, non intragi in chasa mia, se ge venes un poltron, ce darò col mio baston. L'homo selvadego, tipico delle antiche comunità retico-alpine, è stato preso come matrice dell'originale maschera di Arlecchino: nell'immaginario popolare l'uomo selvatico è infatti brutale, ma insuperabile espressione di vitalità, indice estremo di quanto può sopportare ed escogitare contro i rigori della fame, del freddo e della miseria. La primitiva gestualità di Arlecchino, rivelatasi solo nella rozza tipologia dello Zanni e raffinitasi solo nelle più tarde esperienze teatrali, fu in origine grottescamente desunta da una goffa e istintiva animalità che poco si discosta dalle fattezze rustiche e villane dell'homo selvaticus.
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