Le tre fanciulle di Maranza
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Le tre fanciulle di Maranza
Valli d'Isarco e Pusteria (BZ)
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Molti, molti anni or sono giunsero nella Valle d'Isarco tre giovinette. Si chiamavano Aubert, Kubet e Guerre. Il loro nome le diceva straniere, ma nessuno seppe mai donde esse venissero, così povere e sole. Povere e sole camminavano per le vie del mondo, fra genti sconosciute, fra insidie e pericoli. Perché? Forse la guerra, forse la persecuzione di feroci genti pagane avevano costretto le poverine a fuggire, ad andare raminghe di paese in paese in cerca di un rifugio sicuro. Ma un Angelo del Signore era con loro: egli, invisibile, le guidava, sorreggeva i loro passi nel duro e lungo cammino. Fu così che un giorno, cammina e cammina, Aubet, Kubet e Guerre si trovarono alle porte della Valle d'Isarco. Aspra, selvaggia era, allora, la valle, tutta chiusa fra alti monti selvosi. In fondo, fra massi e botri scorreva il fiume schiumante d'acqua e solo la sua cupa voce rompeva il desolato silenzio del luogo. «Mio Dio, dove siamo?» si chiedono, smarrite, le fanciulle e cercano intorno con gli occhi un qualche segno di vita umana. E Guerre, la minore, trema di paura e stringe più forte la mano di Aubet. Ma Aubet è coraggiosa e dice: «Non temere, sorellina, il Signore è con noi. Egli non ci abbandonerà. Su, su, piccina, stringiti a me; insieme, mano nella mano, cammineremo finchè al Signore piacerà indicarci un tetto, un asilo». «Ed io pure sarò sempre con te, sorellina cara, ti difenderò, ti proteggerò» dice Kubet e gli occhi le splendono di santa fierezza. E le tre sorelle, tenendosi per mano, s'incamminano con passo leggero su per il ripido pendio che sale verso il monte. Vanno e vanno, attraversano boschi e pascoli deserti, spesso interrotti da profondi valloni, da scoscesi dirupi e finalmente arrivano a Lazfons. Ma non è questa la loro mèta. Si rimettono di nuovo per via e, dopo lungo cammino, scendono in Val Pusteria. E l'angelo buono è sempre con loro. Hanno sete? Una forte montanarina offre alle loro aride labbra la sua acqua limpida e fresca. Hanno fame? Il bosco generoso tiene in serbo per loro le bacche più dolci e mature. E quando l'aria imbruna e la prima stella occhieggia ancor sola nel cielo, una capanna, una grotta ben difesa offrono alle fanciulle un buon riparo per la notte. Cammina, cammina… Aubet, Kubet e Guerre, da Rio di Pusteria, per il Katzensteig, salgono verso Maranza. Ma il sentiero è tanto ripido e le povere fanciulle sono stanche, stanche da morire. Ed è luglio. Alto, nel cielo tersissimo, splende il sole e la campagna è in festa. Tutte le siepi sono fiorite e l'erba dei prati, già alta, ondeggia ad ogni soffio di vento, screziata di mille e mille colori. Anche la segale è già bionda nei campi poveri e magri e fra gli esili steli spiccano le macchie rosse e turchine dei rosolacci e dei fiordalisi. Ma il sole brucia e le pietre del sentiero scottano sotto i piedini nudi e scorticati. Ecco, non reggono più alla fatica e sfinite si abbandonano all'orlo di un prato. Ed hanno fame e sete, tanta fame, tanta sete! Dice Aubet, la maggiore, dal dolce composto viso di madonnina: «Non dobbiamo temere, sorelline care! Preghiamo il Padre ch'è nei cieli ed egli ci aiuterà». E subito s'inginocchia e prega:«Signore, soccorrici, mandaci un po’ d'ombra, un po’ di frescura! Noi moriamo!…» E, come d'incanto, ecco, ergersi al margine del prato un albero alto e frontoso che allarga intorno, pietoso, la sua chioma ed avvolge nella sua ombra ristoratrice le tapinelle. Allora Kubet, esile e bionda, con voce fatta trepida dalla gioia, dalla speranza, si getta in ginocchio e dice:«Grazie, Signore, dell'ombra che ci hai dato. Ascolta ancora la nostra preghiera! Abbiamo fame, non lasciarci perire». E i rami dell'albero subito si abbassano, si curvano sulle fanciulle offrendo alle loro avide mani le più belle, le più dolci ciliegie che si possano immaginare. E Guerre non vuol essere da meno delle sorelle e, congiungendo le mani, timida ed umile mormora: «Siano rese grazie a Te, Signore! Tu ci hai donato l'ombra e il cibo, ma abbiamo sete, ancora tanta sete!… Donaci un po’ di acqua, Signore!». Glo, glo, glo … una polla d'acqua limpida sgorga gorgogliando fra i sassi e l'erbe. Oh, la felicità di immergere la bocca, il viso, le mani in quell'acqua freschissima! Ritemprate, le fanciulle elevano al Cielo un canto di fede e di gratitudine, poi liete e serene riprendono il cammino che le porta a Maranza. Il villaggio è ridente: poche e scure casupole sparse tra il verde e mandrie e greggi al pascolo… Il luogo è bello - dice Aubet - ed abbiamo già camminato tanto!» Fermiamoci qui, aggiungono le sorelline, e chiediamo ospitalità a questa buona gente. E bussano timidamente a qualche porta: chiedono asilo ed offrono, in cambio, lavoro. I rudi, ma pietosi montanari accolgono volentieri le tre giovanette povere e sole e generosamente dividono con loro il poco pane nero e lo scarso companatico. Aubet, Kubet e Guerre hanno trovato, finalmente, un focolare, un tetto, povero si, ma quanto, oh! Quanto ricco di calore, di bontà! Ben presto le fanciulle diventano le beniamine del villaggio. Dal mattino alla sera, alacri e gaie, lavorano nelle case e nei campi, impastano e cuociono il pane, filano la lana, lavano e, se c'è bisogno, zappano la terra, falciano l'erba, concludono al pascolo il gregge. E se i predoni assaltano il villaggio, le intrepide giovinette si mettono alla testa dei difensori: pregano, impugnano un'arma e combattono. E quando la pace torna nel villaggio, esse riprendono in letizia le loro pacifiche occupazioni, chè il lavoro non manca e c'è sempre chi ha bisogno di aiuto. Lavorano: lavorano e pregano, le buone fanciulle, ed insegnano agli umili montanari a conoscere, ad amare il Signore. E molti di essi si fanno cristiani. Una nuova vita fiorisce nel piccolo, solitario lembo di terra benedetto dal Signore. Pace e serenità regnano nelle famiglie. La terra dà frutti abbondanti, le campagne sono fiorenti, il bestiame riempie le stalle... Anni, molti anni passarono… Che avvenne delle tre giovanette giunte un giorno, povere e sole da un paese lontano? La voce della leggenda tace né a noi è dato di sapere di più. Ma la memoria di Aubert, Kubet e Guerre rimase sempre viva nel cuore della gente di Maranza. Il ricordo della loro angelica bontà vinse il tempo, superò in breve gli angusti confini dell'alpestre villaggio. Nel 1500 esse furono proclamate Sante; sono, ora, le celesti protettrici di Maranza. Nella chiesa del paese un altare è dedicato alle sante fanciulle e un quadro le rappresenta nelle loro dolci sembianze: Aubet col rastrello, Kubet con la lancia, Guerre con il tridente del fieno. Ed ancor oggi la gente del villaggio si rivolge loro nei momenti del bisogno, del pericolo, del dolore. Ed è tanta la venerazione che il popolo ha per le sue Sante patrone, che il luogo dove esse, stanche, si riposarono in quel lontano giorno d'estate, viene chiamato «Jungfraurast», sosta (riposo) delle Vergini
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