|
|
MITI & LEGGENDE
|
VALLI D'ISARCO E DI FIEMME
|
BZ
|
|
|
San Lucano
Valli d'Isarco e di Fiemme (BZ)
|
Lucano, il santo Vescovo di Sabiona, era oramai vecchio. Di giorno in giorno le sue spalle si facevano più curve, più lenti e stanchi i suoi passi. Presto, forse molto presto, la silenziosa - la Morte - avrebbe bussato alla sua porta per dirgli: «Vescovo Lucano, il Signore ti chiama! Vieni». Oh, Lucano era pronto alla chiamata, ma una grazia, una grazia sola chiedeva al Signore prima di lasciare per sempre questa terra, e in ginocchio, a mani giunte, così pregava: «Signore Iddio, che leggi nel cuore degli uomini le gioie e le pene, le speranze e gli affanni, accogli, pietoso, l'estremo mio desiderio. Fa che questi miei poveri occhi possano vedere ancora una volta il Santo Padre, il dolce Vicario di Cristo in terra. Quale gioia per me riunire le sue sante parole, quale conforto poter chiudere questa mia lunga vita con la sua benedizione!». Quando venne la buona stagione, Lucano fece sellare la sua mula e, accompagnato da un fido servitore, lasciò Sabiona. Cammina, cammina… un giorno i due viandanti giunsero al margine d'un bosco. Gli alberi alti e folti intrecciavano in alto le loro chiome frondose. L'ombra, il silenzio, la quiete, invitavano ad una sosta. «Fermiamoci qui», disse Lucano scendendo dalla sua cavalcatura, e sciolse la mula perché potesse pascolare più liberamente. D'un tratto, uno schianto di rami e di frasche s'udì venire dal bosco: un orso enorme, spaventoso, usciva in quel momento di tra gli alberi e, grugnendo paurosamente, s'avventava sulla povera mula azzannandola. Pazzo di terrore, il servitore cercò disperatamente rifugio sull'albero più vicino e il vecchio Lucano rimase solo ed indifeso nel pericolo. Non tremò il Santo; alzò gli occhi al Cielo in una muta preghiera, poi, calmo, mosse verso la belva, ancora intenta al pasto sanguinoso e così le parlò: «Gran danno mi arrecasti, belva crudele, privandomi della mia cavalcatura. Ora, in mone di Dio onnipotente, io ti comando di prendermi in groppa e di portarmi per tutta la durata del mio lungo viaggio». Dondolando il grosso testone irsuto, l'orso subito ammansito, s'avvicinò al Santo e si lasciò docilmente sellare e mettere il morso. «Ed ora andiamo», disse Lucano salendogli in groppa e il buon bestione s'avviò trotterellando come il più pacifico, il più mite dei cavalli da sella. E via, via: la strada correva per ampie vallate, per gole e valli ed alture e, per villaggi e città. Il sole dardeggiava sempre più caldo e la polvere e la sete bruciavano la gola, ma Roma era ancora lontana e la strada sembrava senza fine. Dopo molte settimane di cammino, i due pellegrini giunsero a Spoleto. Erano stanchi da non poterne più, avevano fame e sete e subito si diressero verso una locanda. L'oste si fece loro incontro tutto premuroso e pieno di rispetto, preparò la tavola, portò del pane e del vino, poi, tutto confuso e quasi vergognoso, s'accostò a Lucano dicendo: «Perdonate, Monsignore, se la mia casa, oggi, non può offrirvi quell'ospitalità che vi conviene; mia moglie è gravemente ammalata ed io…» e non potè più proseguire, che già il pianto gli faceva nodo alla gola. Il santo Vescovo ebbe pietà del poveretto e si fece condurre al letto dell'inferma. La donna era moribonda; giaceva assopita, il volto più bianco della cera, il respiro lento, affannoso. Nella stanza i figli, i parenti piangevano soffocando i singhiozzi, pregavano. Lucano s'avvicinò in silenzio alla malata, la segnò lievemente con la croce: subito ella aprì gli occhi, si sollevò sui guanciali prorompendo in un grido: «Sono guarita, sono guarita!» Nella stanza, ora, si rideva, si piangeva di gioia, si gridava al miracolo. L'oste guardava estatico la sua donna, timoroso quasi di abbandonarsi a quella gioia troppo grande, troppo bella; i figlioli si stringevano attorno alla mamma, l'accarezzavano e non volevano più staccarsi da lei. Parole, voci, esclamazioni affettuose s'incrociavano attorno alla donna risanata e mai festa più bella, mai gente più felice s'era dato di vedere in quella casa. E tanta era la felicità, che nessuno s'avvide della scomparsa di Lucano. Quando l'oste e i parenti se ne accorsero, lo cercarono dappertutto: dov'era il santo Vescovo? Perché se n'era andato? Si chiedevano affannosamente. Ma Lucano era ormai lontano e calcava di buon trotto verso Roma. Ma via via che s'avvicinava alla mèta, una pena, un cruccio sottile, tormentoso, gli stringeva il cuore, perché non aveva nulla, proprio nulla da offrire al Santo Padre. Lucano era povero e vuota era la sua bisaccia di pellegrino, chè, sempre ogni suo bene aveva diviso tra i poveri, affinchè l'affamato avesse un pane e l'ignudo una veste. Ma un dono, un piccolo dono l'avrebbe pur voluto offrire al Padre amato. Così andando, il Santo e il suo compagno videro ai lati della strada una bella macchia di robinie. Veniva dal verde il giocondo chioccolio d'una fonte e un sommesso bisbigliare d'uccelli. All'improvviso un frullo d'ali agitò le fronde e fr, fr, fr… una, due, tre… uno stormo di pernici si aprì il varco tra il fogliame, spiccando il volo verso l'alto. Ristette gioiosamente stupito Lucano, poi, sollevati gli occhi ridenti disse: «Volate, volate, uccelli del buon Dio, volate dove più azzurro è il cielo e portate al Padre Santo tutta l'allegrezza che vi fa così lieti e felici!». Con un rapido e festoso battere d'ali gli uccelli si lanciarono in alto, sempre più in alto, scomparendo verso il bel cielo di Roma. E a Roma finalmente, giunsero anche i due viandanti. «Signore, ti ringrazio d'avermi concesso questo giorno benedetto», esclamò il Vecchio Vescovo raggiante d'incontenibile gioia e, così come si trovava, con indosso le povere vesti che portavano il segno del molto cammino, corse ad inginocchiarsi ai piedi del Papa. Ma, che è o che non è, d'un tratto senti che il mantello, il suo povero e logoro mantello, gli si faceva pesante, pesante da schiacciargli quasi le spalle; se lo tolse, poiché era tutto zuppo, fradicio di pioggia, cercando, attorno, con gli occhi, un gancio o un chiodo su cui appenderlo. E mentre cercava, un raggio di sole entrò di sbieco dalla finestra, fendette l'aria diritto e lucente come una spada. Non stette a pensarci due volte. Lucano prese il mantello e, senza dir parola, lo gettò sul raggio luminoso. E lì rimase sospeso in uno scintillante pulviscolo d'oro. Guardò attonito il Papa lo straordinario prodigio, ma non se ne stupì, poiché già sapeva che l'umile Vescovo, che gli stava innanzi, era un prediletto del Signore, un Santo. Gli si avvicinò e abbracciandolo, disse: «Gioisci, Lucano, pastore fido e buono, chè ancora una volta il Signore ha voluto mostrarti la sua grazia. Torna, ora, al tuo gregge lassù fra i monti alti e selvosi e che il Signore ti accompagni. Và!» Tornò Lucano alla sua Sabiona ed ivi rimase beneficando il suo popolo, finchè il Signore lo chiamò a sé nella sua gloria. Secoli e secoli sono passati, d'allora, ma il nome del santo Vescovo è sempre vivo e venerato nella Valle d'Isarco, come lo è pure in altri luoghi della nostra Regione
|
|
|
|
|
|
|
|