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Presepe francescano
Greccio (RI)

24 dicembre

Il primo a ideare un presepe vivente fu san Francesco che proprio qui, ispirandosi a una tradizione liturgica risalente al IX secolo, volle riprodurre la Natività del Cristo. Rifacendosi dunque alle sacre rappresentazioni, il poverello d'Assisi nel 1223 decise di riproporre l'evento in una grotta nei pressi del convento abbarbicato sulla montagna. Di questo avvenimento parlano tutti i biografi del santo, da Tommaso da Celano a Bonaventura da Bagnoregio, e proprio le parole di quest'ultimo ci sembra utile ricordarle qui: "Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove e un asino. Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoriose. L'uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia.
Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levìta di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e, nel nominarlo, lo chiama, per tendenza d'amore, il bimbo di Betlemme". Ancora oggi a Greccio si rinnova quel presepe vivente. Già nel pomeriggio coppie di zampognari percorrono le vie del paese suonando nenie natalizie. La sera poi araldi a cavallo convocano la gente a raccolta nei pressi del santuario. Dopodichè i fedeli si avviano, al lume delle fiaccole, lungo la strada che conduce al monte, mentre tutte le campane suonano a stormo. Nel piazzale del tempio si ripropongono le rappresentazioni dei quadri viventi in costumi medievali, arricchiti di dialoghi e cori.
Poco prima della mezzanotte un corteo si dirige verso la grotta dove, presso una mangiatoia, un uomo impersona il santo che tiene in braccio il bambin Gesù. Dopo la celebrazione della messa si distribuisce il fieno benedetto a tutti i fedeli.






Festa de' Noantri
Roma (RM)

A partire dalla terza domenica di luglio

Festa del rione di Trastevere, che per alcuni giorni vive un clima da sagra paesana in occasione della festa della Madonna del Carmelo.
Secondo una leggenda sorta nel XVI secolo, un giorno alcuni fiumaroli stavano pescando sulle rive del Tevere, quando improvvisamente uno di loro vide attaccata al suo amo una cassa che conteneva una statua della Madonna.
Da allora si decise di ricordare il miracoloso ritrovamento con una festa. Una processione trasferisce la statua dalla chiesa di sant'Agata alla Lungaretta (in cui è custodita) fino a san Crisogono, dove rimane otto giorni prima di essere ricondotta nella sua sede. La processione è organizzata dall'arciconfraternita del SS. Sacramento e di santa Maria del Carmine, i cui aderenti indossano un saio bianco. Le strade del quartiere sono illuminate da lampadine colorate, i marciapiedi sono invasi da innumerevoli bancarelle e chioschi gastronomici, le osserie all'aperto sono sempre affollate, si assiste a concerti di banda, spettacoli teatrali, folkloristici e musicali. Infine, la mezzanotte dell'ultimo giorno, vi sono i fuochi artificiali sull'isola Tiberina.



Festa dell'Inchinata
Tivoli (RM)

15 agosto

La festa vuole rappresentare il momento in cui la Vergine Maria, nell'attimo della dormizione (trapasso), vede apparire il suo divino figliolo. Ecco dunque che nel rispetto di una tradizione risalente all'alto medioevo, gli araldi chiamano a raccolta gli abitanti che poi si dividono in due processioni, una delle quali accompagna una Madonna dipinta da Jacopo Torritti nel XIII secolo, l'altra un trittico a tempera raffigurante il Salvatore benedicente. Le due sacre immagini sono state lasciate vicine durante la notte e si sostiene che fra di loro siano intercorse parole di tenero affetto.
I due cortei, dopo aver percorso tragitti diversi, si incontrano infine in piazza santa Maria Maggiore sotto archi trionfali di mortella e in quel momento scoppia una filza di mortaretti. Qui, tra una nube di fumo le due effigi vengono avvicinate, poi per tre volte l'immagine di Gesù e quella della Vergine si inchinano l'una verso l'altra, mentre i fedeli implorano misericordia ad alta voce.



Pianto delle zitelle
Vallepietra (RM)

Prima domenica dopo Pentecoste

Si tratta di un pellegrinaggio al santuario della santissima Trinità, scavato in una enorme grotta su una parete a strapiombo, al quale partecipano migliaia di fedeli che s'inerpicano sui 1300 metri del monte Autore (due ore circa di cammino dal paese) a partire dalla sera di sabato. A mano a mano che giungono i fedeli entrano nel tempio procedendo in ginocchio, con una curiosa ondulazione del corpo e della testa protesa in avanti. All'alba della domenica ha luogo il "pianto delle zitelle", una sorta di sacra rappresentazione dedicata al Cristo morto eseguito da una ventina di donne e ragazze del paese, che si tramandano questo privilegio di madre in figlia. Ognuna di loro rappresenta un personaggio (Giuda, Pilato, Maddalena, la Vergine), oppure gli strumenti della Passione (la croce, i chiodi, la spugna, la lancia, la corona di spine). Sono tutte vestite di nero, tranne quella che impersona la Madonna, che porta un velo azzurro. Nello spazio antistante il santuario le donne eseguono il "pianto" che si compone di canti a solo intercalati da un coro di tre voci. La straziante melodia è unica per tutti i Misteri e i testi sono di composizione settecentesca. Dopo un canto in lode della Trinità, cui i presenti rispondono a ogni strofa, ciascuna delle "zitelle" descrive, cantando con accorata espressività, la funzione avuta nel martirio del Cristo. Al termine dell'emozionante manifestazione il vescovo si affaccia sulla loggia e benedice i fedeli.


I Misteri di Santa Cristina
Bolsena (VT)

23 e 24 Luglio

Olio bollente, lame affilate e uncini acuminati, verghe similanti e viscide serpi, sono alcuni degli strumenti di tortura usati per il martirio di santa Cristina, che ogni anno viene ricordato in questa cittadina laziale adagiata sulle coste del lago omonimo. Si narra che Cristina, figlia del prefetto Urbano, al tempo delle persecuzioni promosse da Diocleziano nel III secolo, abbia voluto convertirsi alla nuova fede, grazie all'opera di proselitismo di una sua ancella. Il padre tentò di dissuaderla rinchiudendola in un'ala del palazzo assieme ad alcune delle sue ancelle, ma senza ottenere il risultato sperato, anzi la fanciulla donò ai poveri tutti i suoi averi. A questo punto Urbano, anche per salvaguardare la sua autorità pubblica, la sottopose a crudeli e interminabili supplizi, e i tormenti continuarono anche dopo la morte dello snaturato padre per opera dei suoi successori, finchè la povera giovane rese l'anima al cielo, lasciando tuttavia una testimonianza della propria santità: l'impronta dei suoi piedi su una pietra alla quale gli aguzzini l'avevano legata perché sprofondasse nel lago. La sera della vigilia, dopo l'esposizione delle reliquie della santa e una solenne processione, la statua che la raffigura viene deposta nel castello, dove passa la notte. Il giorno seguente la processione ripete a ritroso il tragitto verso la cattedrale. Lungo i due percorsi, uno notturno e l'altro diurno, in cinque punti della cittadina, su palcoscenici improvvisati, la popolazione realizza dei quadri plastici (Misteri) che riproducono episodi della sua vita e del suo martirio. Si tratta di una sorta di sacra rappresentazione, assai intensa e drammatica, nel corso della quale gli attori rimangono immobili per alcuni minuti, dopodichè cala il sipario ed essi possono riposarsi. La giornata si chiude con un grande spettacolo pirotecnico.


La Barabbata
Marta (VT)

Terza domenica di Maggio

La festa della Madonna del Monte, detta la barabbata o delle "passate", rientra nel quadro delle festività primaverili che in tempi assai antichi venivano organizzate per celebrare il risveglio della natura e al tempo stesso per chiedere agli dèi fertilità e abbondanza. Il nome di "passate" deriva da un avvenimento del 1704 quando gli abitanti organizzarono una manifestazione di protesta contro il cardinale Antonio Barbarigo, che voleva porre un freno alla rilassatezza dei costumi dei padri Minimi. Gli abitanti entrarono e uscirono tre volte (fecero tre "passate") dalla chiesa suonando e schiamazzando. Negli anni seguenti la cosa si ripeté, pur tra alti e bassi dovuti alle pressioni ecclesiastiche tese a modernare gli eccessi di tipo carnevalesco (definiti barabbate, da Barabba, il ladrone del Vangelo). Oggi si svolge una spettacolare processione che parte al mattino dalle sponde del lago di Bolsena, su cui il paese si affaccia, per poi salire fino al santuario dedicato alla Madonna del Monte, distante qualche centinaio di metri dall'abitato.
Vi prendono parte le quattro corporazioni dei casenghi (gli uomini di fiducia nelle fattorie), dei bifolchi (addetti al bestiame), dei villani (contadini) e dei pescatori, ognuno portando gli strumenti del proprio lavoro e i frutti di esso, che sono simbolicamente offerti alla Madonna. Precedute dal rullo dei tamburi le corporazioni attraversano per tre volte, passando dalla porta della sacrestia, l'atrio del santuario, mentre i sacerdoti offrono loro delle ciambelle a forma di serpente attorcigliato.



La "Macchina di Santa Rosa"
Viterbo (VT)

Prima domenica di settembre

Santa Rosa è la patrona di Viterbo; intorno a questa delicata e coraggiosa figura, vissuta solo diciassette anni verso la metà del XIII secolo, corrono molti racconti, ammantati di storia e leggenda.
Il suo corpo fu rinvenuto intatto dopo sette anni dalla morte e fu traslato, per volontà di papa Alessandro IV, con una solenne processione dalla cappella in cui era stato provvisoriamente deposto a quello che poi diverrà il santuario a lei dedicato. A partire dal Seicento tuttavia il semplice baldacchino che serviva a portare in processione l'immagine della santa, si trasformò in una macchina monumentale: un altissimo obelisco fiorito di figurazioni simboliche e punteggiato di lampadine, il cui trasporto impegnava una quantità di uomini in una prova notevole di forza. Oggi la "torre che cammina" è una guglia di cartapesta alta una trentina di metri che raggiunge il peso di quaranta quintali. Cento "facchini", scelti con molta cura, provvedono a imprimerle il movimento. Non è facile essere accolti nella confraternita laica incaricata di questo compito, gli aspiranti, infatti devono sottoporsi a prove di resistenza con pesi di piombo. Alle 14 si svolge la cerimonia della vestizione, i portatori indossano una tunica bianca con una fascia rossa intorno alla vita, dopodichè il gruppo compie una visita di devozione in cinque chiese per invocare sostegno e aiuto. Al termine ricevono la benedizione e l'assoluzione in articulo mortis, dato che si accingono a un'impresa che presenta non pochi pericoli. Alle 21 cadono i teli che nascondevano la "macchina" e gli uomini si pongono sotto le travature, la struttura ondeggia, si solleva, si muove. Il percorso è di circa un chilometro, interrotto da quattro brevi soste per riposarsi e rinfocillarsi. Tutte le luci si spengono mentre la guglia e splendente avanza rasentando i palazzi al ritmo scandito dalla banda musicale. Infine vi è da affrontare l'ardua salita che porta al santuario, è il momento più difficile e rischioso che i portatori intraprendono di corsa, fino a deporre il pesante carico sul sagrato. In quel momento si riaccendono le luci della città e scoppiano gli applausi della folla.



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