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Chi sono i nanetti del vino
Chi sono i nanetti del vino
Val d'Adige (BZ)

Un giorno, così narrano gli antichi libri, giunsero nella nostra terra, con gran seguito di servi, i figli di Noè. Si accamparono ai margini della Val d'Adige che era, allora, deserta e selvaggia, sciolsero i cavalli e scaricarono dai pesanti carri numerosi otri di pelle caprina pieni di vino, che avevano recato con sé dalla loro patria lontana. Quella terra incolta, ma tutta aperta ai caldi venti del sud, piacque ai figli di Noè. Quello era il luogo ch'essi cercavano, qui certamente avrebbe prosperato la prodigiosa pianta dal frutto dolcissimo: la vite.
Un giorno, dopo aver vagato lungo al piano, i forestieri raggiunsero le prime alture dove abitavano i nani, certi omini piccini e barbuti, che vivevano coltivando poche spanne di terra strappate alla sterpaglia ed allevando qualche po’ di bestiame: bovini grandi come pecore e pecore non più grandi degli agnellini appena nati.
Sorpresi, meravigliati ed anche un po’ intimoriti, i nanetti mossero incontro agli stranieri con mille inchini e profondi salamelecchi. «Chi potevano essere mai, quegli uomini alti e forti?» si chiedevano fra loro i nani «che cosa volevano da loro? E che portavano in quegli strani e rigonfi recipienti di pelle?».
Queste ed altre mille domande si facevano i nani, sempre più incuriositi, guardando incantati quei bruni giganti venuti da chissà dove, mandati chissà da chi. Risero divertiti gli uomini venuti di lontano all'ingenua e fanciullesca curiosità dei nani e, dopo averli tranquillizzati, aprirono un otre.
Dalla stretta bocca sgorgò spumeggiando e gorgogliando un liquore rosso come il rubino dal profumo delicatamente frizzante. Allegri, gli uomini riempirono alla fragrante onda i rozzi bicchieri di legno e bevvero. Bevvero anche i nanetti e, più bevevano, più si sentivano diventare gai, spensierati, felici. Si fecero arditi, allora, gli uomini e chiesero agli stranieri donde venisse quella preziosa bevanda. I forestieri si scambiarono un'occhiata d'intesa, sorsero misteriosamente poi, colui che sembrava essere il maggiore della brigata, prese a dire:
«Cortesi amici, il liquore che ora avete gustato è il vino. Esso si ricava dal frutto d'una pianta - la vite - che cresce nei nostri lontani paesi. Fu Noè, nostro padre, a svelare le segrete e mirabili virtù del succo della vite.
Se voi voleste…» continuò l'uomo traendo da un fascio un mazzo di barbatelle, «ecco i robusti virgulti della vite. Li affideremo alla terra; ella li custodirà, li nutrirà, le piantine cresceranno, si vestiranno di pampini e, alla loro stagione, matureranno copiosi grappoli d'uva più dolce del dolcissimo miele».
«La vostra terra», soggiunse l'uomo abbracciando con lo sguardo il piano e il colle, «diventerà fiorente e ricca: un giardino».
Ascoltavano attenti i nani, annuendo lievemente col capo, poi il più anziano di loro disse:«Illustre straniero, non dubitiamo delle tue parole e siamo pronti a stringere con voi un patto. Ascolta: sarà vostra buona parte di questa terra, noi ci ritireremo più in alto, verso il monte. In cambio, che vi chiediamo? Oh, non molto, pochi otri di questo buon vino!».
Una stretta di mano suggellò il patto. I nani con le loro greggi presero la via del monte, mentre i nuovi venuti si stabilivano lungo il pendio chiamato, oggi, Leitach (Costa).
Subito gli uomini si misero al lavoro, lottarono a sangue con la macchia selvaggia e prepotente, sradicarono pruni, divelsero sterpi, liberarono il suolo dal pietrame. La vergine terra accolse i robusti virgulti della vite, le piante crebbero, fruttificarono meravigliosamente.
Gli stranieri non avevano mentito: quella terra divenne, veramente un giardino. E il vino? Il vino era buono, tanto buono, che i solerti coltivatori pensarono di farne avere un otre anche al vecchio Noè. Era vero Leitacher, limpido, generoso! Lo gustò, beato, il gran Vegliardo, e subito decise di mettersi in viaggio per vedere la terra felice da cui proveniva quel vino.
E così, un bel giorno, Noè raggiunse i figli. Voleva vedere con i suoi occhi quello che avevano saputo fare! E vide i fiorenti vigneti digradanti lungo il pendio ed, orgoglioso, lodò l'operosità e la tenacia dei figli.
«Per voi» egli disse scorrendo lentamente con lo sguardo le pendici del colle «per voi l'umile e preziosa pianta ha trovato in questo paese ottima dimora. Ma altra terra attende di essere riscattata dal vostro lavoro: la vite, l'umile, la generosa vite vi compenserà d'ogni fatica».
Ben presto far tesoro delle parole del padre quei figli laboriosi, ed instancabili si dettero a dissodare altra terra lungo la vallata. E volta e rivolta la zolla, e zappa e scava…
Coll'andar degli anni i colli, che incoronano la conca ove ora sorge Bolzano, si ricoprono di vigneti ubertosi e la terra, redenta dal lavoro umano, celebrò la sua festa più bella.
Ma via via che la vite conquistava le alture, il regno dei nani arretrava e si faceva sempre più piccolo ed angusto. Ma essi non se ne adontavano: gli stranieri erano sempre stati buoni e leali con loro e mai avevano fatto loro mancare il dolce liquore, che accende il fuoco nelle vene e dona al cuore gaiezza ed allegria. E i nani non chiedevano di più.
Passarono molti e molti anni (nei libri antichi non è scritto quanti), genti armate invasero la valle, con le armi cacciarono dalla loro terra i pacifici viticoltori, abbatterono, bruciarono le viti. Fiamme alte, paurose divamparono di colle in colle per giorni e giorni. Quando il fuoco cessò, dei rigogliosi vigneti non rimaneva che cenere, una cenere bianca e fine che il vento sollevava e disperdeva lontano. E i conquistatori regnarono su quella devastazione.
Che avvenne dei nani? Oh, i nani erano al sicuro e si guardavano bene dallo scendere al piano, chè l'aria che vi spirava non era poi tanto buona neppure per loro.
Ai primi invasori altri ne seguirono; questi cacciarono quelli e ne occuparono le loro terre. Col tempo, i nuovi conquistatori abbandonarono i loro feroci costumi, le armi e la guerra ed appresero a dedicarsi al duro, ma pacifico lavoro nei campi. La fatica, il sudore fecondarono le zolle e la terra miracolosamente rifiorì. Fu una seconda primavera.
Anche la vite, l'antica vite riapparve sui colli solatii col verde dei suoi pampini e la pompa dei suoi turgidi grappoli.
«Gli uomini sono ridiventati saggi e buoni», andavano dicendo fra loro i nani, guardando giù verso la valle «si è ripreso a lavorare la terra e la terra fruttifica. Buon segno!». E, rassicurati, i nani scesero al piano per chiedere ospitalità ai nuovi abitanti. I nani furono bene accolti, fu ritrovato il patto dell'antica amicizia e gli uomini non ebbero a pentirsene: infatti, i generosi nanetti, in mille modi cercavano di rendersi utili ai loro amici, aiutandoli, sovvenendoli in ogni loro bisogno e necessità.
E a sera, dopo il lavoro, uomini e nani amavano raccogliersi attorno ad un capace boccale di buon vino. Era frizzante «Leitacher?» Era biondo «Terlaner» dai chiari riflessi dell'oro fino?
Il boccale passava di bocca in bocca: frizzi, gaie risate scoppiettavano qua e là fra un sorso e l'altro. Ma i più allegri erano i nani, che divertivano tutti con i loro scherzi e le loro buffe pantomime.
Ma gli uomini crebbero di numero. Al piano e sul pendio, dove più ferace era la terra e mite il clima, sorsero borghi e villaggi. Gli abitanti si fecero duri, avidi di terra e di beni e, nella brama insaziabile di possedere, dimenticarono gli antichi patti. Offesi e delusi, i nani ripresero tristemente la via del ritorno verso il monte, ma non dimenticarono la bella terra.
Presi dalla nostalgia, talvolta scendevano al piano, ma di rado e solo di notte. E c'è chi dice che ancor oggi, al tempo della vendemmia, i nani riappaiano nei vigneti. Nelle notti di luna scendono silenziosi dai monti e, cauti, s'aggirano tra i filari, sotto le viti, spigolando, piluccando, golosi, un acino qua, uno là. Di tanto in tanto sostano, fiutando l'aria che tutt'intorno odora di mosto e di vino nuovo. Si danno la voce l'un l'altro, allora, i nanetti e, audaci, s'avvicinano alle case, scivolano lesti nelle cantine.
Eccoli là, a piccoli balzi si accostano alle botti, aprono impazienti lo zipolo e bevono. Bevono allegri i piccoli nani, il capo riverso, la barba scomposta e nel momento felice, dimenticano l'egoismo e l'ingratitudine degli uomini.
S'accontentano di poco gli omini della montagna: un po’ di calore, un po’ d'allegria… poi in silenzio lasciano le cantine per riprendere, nella notte, la solitaria via dei monti


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