Visualizza Tutto
Miti & Leggende
 
CONTATTACI 
FORUM 
PREFERITI 
HOME PAGE 
     MITI & LEGGENDE     VALLI PASSIRIA, GIOVO, RACINES E RIDANNA  BZ 
L'amore della Fata di Monte Giovo
L'amore della Fata di Monte Giovo
Valli Passiria, Giovo, Racines e Ridanna (BZ)

Una visione divinamente orrida crea intorno a noi una magica atmosfera di stupore e di smarrimento, incanta la nostra anima con una sua dolce cupa malinconia. L'occhio si perde, si smarrisce fra serie interminabili di catene irte di punte aguzze, che sembrano dissolversi nella luce di un cielo intensamente azzurro.
In mezzo a questi incanti della natura viveva, molti secoli fa, il bel cavaliere di Castel Giovo, dedito alla caccia più che all'amore, mentre la bella fatina dai grandi occhi azzurri, luminosi come stelle, che abitava in una grotta, poco lungi dal Passo chiamato ora il Monte Giovo, sospirando si struggeva nel suo tenace amore.
Il cavaliere, armato d'arco e di faretra, passava oltre, superbo, sul suo magnifico baio dalla bardatura scintillante d'oro, senza degnarla di uno sguardo. Ella era fata, ma era innanzitutto donna: e la sua vanità, il suo orgoglio, feriti da tanta indifferenza, vollero la vendetta. Mutatasi quindi in umile pastorella, si diede a battere le vie abitualmente percorse dal superbo signore.
Esisteva, nei pressi di Casateia, la capanna di un fornaciaio, il quale un tempo era stato scudiero al castello. Ivi, sovente, il signore sostava durante le sue battute di caccia, per prendere respiro.
A lungo e invano vagò la fatina fra Valtina e Calice, Racines e Mareta, Val di Giovo e Casateia, finchè un giorno giunse alla capanna e, spinta dal suo acutissimo istinto femminile, vi si fermò ed attese.
Poco dopo, ecco comparire il cavaliere, che veduta la pastorella, le chiese un sorso d'acqua. Ella premurosamente gliene porse una tazza, entrò la quale aveva lasciato cadere, non vista, una sua magica perlina.
Bevve d'un fiato il cavaliere, e subito si sentì tutto pervaso da una strana dolcezza e da un violento amore per la modesta pastorella. Questa allora, riprendendo le sue vere sembianze, apparve in tutta la sua raggiante bellezza agli occhi del signore, che, fuor di sé dalla gioia, la sollevò tra le braccia, montò rapido in sella e spronò forte verso il suo castello.
Ma la sua felicità fu di brevissima durata.
Giunti nei pressi di Calice, la fatina, avvicinatosi alle labbra un suo minuscolo corno d'oro, emise un acuto squillo e si dileguò sotto gli occhi stupiti del cavaliere, che, preso da una forte disperazione, cavalcò furibondo per tre giorni e tre notti senza sosta, finchè il cavallo sfinito precipitò a terra esanime. Continuò a piedi, vagò come un pazzo nei boschi di Racines, di Ridanna e Val di Giovo, vendette gli abiti e, divenuto povero, finì col mendicare di maso in maso.
Una notte, sperduto nel folto del bosco di Racines, fu colto da un violento uragano, che lo costrinse a cercare riparo sotto un grande e frondoso abete. Sfinito dalla stanchezza, si appoggiò al grosso tronco e, vinto dal bruciante ricordo del perduto amore, unì il suo canto al fragore della tempesta, per dare, con esso, libero sfogo alla pienezza del suo cuore dolorante. Gli rispose, lontano, un corno cupo e malinconico, voce della sua felicità infranta, eco del suo dolore disperato. Si scosse, tentò di correre verso l'origine di quel suono, ma le forze gli mancarono, la mente gli si offuscò e cadde a terra privo di sensi.
Rinvenne alla tepida carezza del sole, che filtrava attraverso i fitti rami degli alberi. Si trovò sdraiato su un soffice letto di foglie. Ai suoi piedi giacevano ricche vesti trapunte d'oro, vicino ad un abete nitriva gaiamente il suo del baio, e al suo fianco la fatina risplendente in tutta la sua bellezza, gli sorrideva benignamente.
Allora il giovane, dimentico della stanchezza e delle traversie, balzò in piedi, si stropicciò ripetutamente gli occhi, per convincersi che non sognava: poi corse verso l'amata e l'abbracciò con indescrivibile dolcezza. Infine, indossate le ricche vesti, montò sul cavallo insieme con la sua deliziosa fatina e si diresse di corsa verso il castello.
Nell'incanto della sua ormai non più sperata felicità, il nuovo regno fantastico della natura che riappariva ai suoi occhi, lo affascinava con le nubi dorate, col dolce, sommesso mormorio delle fronde e dei ruscelli. Gli pareva di udire una musica affascinante, in un nuovo mondo di suoni e di colori meravigliosi, con un loro linguaggio misterioso e ineffabile. Egli si sentiva perfettamente, profondamente fuso con quella natura di sogno.
Sono passati molti secoli. La mano dell'uomo e l'azione del tempo possono aver mutato, distrutto certi aspetti di quei luoghi, ma il suono misterioso del corno, che tuttora si nasconde nel bosco di Racines, nessuna forza ha potuto strapparlo all'eco, che, nelle notti tempestose, di tanto in tanto lo ripete, flebilmente, come nostalgico singhiozzo.


Trovati: 1  
  Pagina Precedente